Agorà Albate
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“Carte di identità”
La sera di giovedì 10 ottobre un tempo inclemente che più inclemente non si può ( tuoni, bufera, scrosci d’acqua a catinelle, folate di vento impetuoso) ha rischiato di far saltare la serata prevista per la conclusione del progetto “Carte di Identità”. E invece…no. Alle 21,10 il salone della Comunità era ben affollato di persone che, interessate all’argomento, non hanno esitato a sfidare le intemperie per godersi una serata di sano respiro culturale. E così è stato.
La prima sorpresa è stata aver trovato in gigantografia le carte teresiane del nostro territorio (risalgono al 1722 e sono state digitalizzate in alta definizione proprio grazie al progetto e alla collaborazione con l’Archivio d Stato e il Comune di Como, assessorato alla cultura): subito si sono formati davanti capannelli di curiosi intenti a verificare le caratteristiche del territorio di trecento anni fa e confrontarle con oggi Quindi, dopo i saluti delle autorità presenti (la vice Sindaco dott.sa Magni, l’assessore alla cultura dott. Cavadini, la dott.sa Ronchetti direttrice dell’Archivio di stato), le tre relazioni previste dal programma hanno catturato l’attenzione e l’interesse dei presenti (“Una serata memorabile” l’ha poi definita la signora Mariuccia). L’ingegnere Taiana ha magistralmente segnalato le modificazioni intervenute nel tessuto urbanistico del territorio albatese ben visibili dal confronto con le carte antiche: le vie ( su tutte la Canturina prima collegata a Como tramite Muggiò, poi con l’innesto solo in epoca napoleonica del tratto davanti al cimitero), il tracciato esterno al nucleo di Trecallo in sostituzione della via Interna ( la via Vegia), le cascine, la ripartizione fondiaria in perpendicolare alla Canturina, il tracciato della ferrovia che a fine Ottocento ha posto una cesura tra il territorio settentrionale e meridionale, i corsi d’acqua soprattutto la Segrada che alimentava un mulino. La dottoressa Pellegrini, ricercatrice finissima ed appassionata, ha presentato i risultati di un lavoro intenso e serrato che di archivio in archivio (l’archivio di Stato di Como e di Milano in particolare) l’ha portata a scoprire inediti documenti con microtoponimi antichissimi del territorio albatese: dai primi del Duecento relativi alle proprietà del Monastero di S. Abbondio in Albate sino a quelli di fine Ottocento: quasi seicento toponimi ben collegati ad eventi e fatti che danno luce al tempo che fu. Ed infine la dott.ssa Franca Aiani ha relazionato sulla ricerca dei toponimi della tradizione orale collocati in una cartina rielaborata da Agorà sulla base di quella IGM del 1888. Anche in questo caso una serie cospicua di microtoponimi ripresi in dialetto da chi li usava nelle quotidiane abitudini agricole. La ricerca, che si è dilatata straordinariamente ed ha coinvolto una quarantina di persone sempre più interessate a scoprire nei recessi della memoria i termini di un tempo, ha riguardato i toponimi rurali, per ora escludendo quelli delle corti che saranno oggetto di un lavoro successivo. Un lavoro intenso nel quale va segnalato il preziosissimo contributo di Luigi Zanfrini nella elaborazione informatica e quello di Graziella Molari nella individuazione della corretta grafia dialettale. Già si pensa ad una seconda fase del progetto nel quale hanno collaborato oltre che l’Archivio di Stato di Como e il Comune, anche la Famiglia Comasca, la Società Archeologica, la Società Storica, il Gruppo Alpini di Albate, il Club Amici di Trecallo.
Giovedì 10 ottobre, ore 21,00
Sala della Comunità – Albate, piazza della Chiesa
Incontro conclusivo del progetto
“Carte di identità”,
promosso da Agorà, incontri culturali albatesi, con la collaborazione di:
Archivio di Stato; Comune di Como, Assessorato alla Cultura; Società Archeologica Comense;
Famiglia Comasca; Società Storica; Gruppo Alpini Albate; Club Amici di Trecallo
Sono previsti gli interventi di:
ing. Clemente Taiana, L’identità di Albate attraverso i catasti storici
dott.ssa Rita Pellegrini, La toponomastica di Albate nei documenti d’archivio
dott.ssa Franca Aiani, I toponimi rurali dell’Otto-Novecento: una ricerca appassionante
Baraggia, non solo una corte
Il termine Baraggia è un toponimo antico di origine celto-ligure e significa “ terreno argilloso e compatto, incolto”. Chi conosce la zona si potrebbe meravigliare, perchè essa è da decenni conosciuta come una delle principali zone agricole del territorio albatese. Merito certamente delle famiglie baraggesi che da secoli antichi hanno popolato la cascina, dissodando il terreno attorno e rendendolo fertile e produttivo.
In occasione della tradizionale festa di Baraggia, Agorà, incontri culturali albatesi, ha voluto contribuire con una ricerca storica: nell’impossibilità di costruire una storia continua per la scarsità di documenti (e del resto la storia di Baraggia è indissolubilmente legata a quella più ampia del territorio albatese), quanto è stato trovato ha però consentito di gettare squarci significativi sulle vicende di questa comunità.
Di essa si trovano indicazioni già dai primi anni del 1200, quando la cascina faceva parte delle proprietà del Monastero di S. Abbondio (nel 1553 l’Abbazia di S. Abbondio possedeva in Baraggia ben 563 pertiche), che ne assegnava gli appezzamenti in affitto a persone del luogo. Di questi contratti di affitto abbiamo alcuni registri (purtroppo molti sono andati persi) conservati nell’ Archivio di Stato di Milano, contratti che sono utili per le informazioni sui microtoponimi, sui nomi degli abitanti ed affittuari, sulle condizioni di vita e anche sui prodotti dell’agricoltura.
L’affitto durava in genere nove/dieci anni e prevedeva un canone per lo più in natura (raramente erano previste anche somme di denaro), cioè in prodotti della coltivazione: cereali (frumento, e anche segale, miglio, panìco, di minor valore ma molto usati nella panificazione di allora), fave, vino; in qualche caso si aggiungevano anche castagne e capi di pollame. Gli affittuari dovevano consegnare anche quantità di legname in proporzione al bosco presente nel terreno loro affidato. Nel 1591, ad esempio, tale Bernardino Rognoni di Baraggia deve consegnare come affitto: 11 moggia e 6 stai di frumento; 13 moggia di segale; 10 moggia e 4 stai di miglio; 3 moggi e 6 stai di avena; 5 stai di fave; 5 stai di panìco; 7 di rape; mille libbre di paglia e 5 paia di capponi. Facile immaginare che essi corrispondessero ai prodotti coltivati.
Negli antichi registri sono stati trovati anche i nomi di antichi baraggesi: Zannolus de Barazia (che avrebbe dovuto pagare per tasse nove soldi e quattro denari) e Tognius de Live con i fratelli, figli del fu Gregorio (che avrebbero dovuto pagare sei soldi); nel 1553 nell’elenco dei capifamiglia troviamo il riferimento al molinaro del molinazo de Barazia fogus 1 (un fuoco, cioè una famiglia). Nel 1591 sono indicati come abitanti a Baraggia: Bernardino Rognoni con il fratello e Bernardino de Live con il fratello
Un grave pericolo nel 1652
Nel 1652, durante il periodo della dominazione spagnola, la nostra zona corse il rischio dell’infeudazione, vale dire la vendita in feudo delle pievi di Fino, Zezio ( a cui apparteneva il nostro territorio) e Uggiate.
Si trattava di un grosso pericolo perché significava aggiungere ai soliti gravami i balzelli del feudatario.
La città di Como riuscì a dimostrare che alcune località elencate nelle cedole di vendita erano parte integrante della città e in quanto tali non soggette ad infeudazione, pena la compromissione dell’entità territoriale. Tra esse appaiono come componenti dei Corpi Santi: Acquanera, Albate, Bassone, BARAGGIA, Trecallo, Mugiote.
Le motivazioni più probanti di tale unità era da ravvisarsi nell’essere gli abitanti di queste località gravati dalle medesime tasse dei cittadini, in particolar modo dal pagare il sale allo stesso prezzo stabilito dai magistrati sin dal 1445, come testimoniavano gabellieri e ministri del sale.
Anche il cancelliere episcopale ed i curati testimoniarono che le parrocchie dei Corpi Santi erano unite alla Città, dipendendo dalla Cattedrale e non dai Prevosti delle pievi.
Furono rifatte le cedole con la definizione dell’entità dei luoghi: Albate con Trecallo e Baraggia risultava constare di 33 fuochi ( 1 fuoco una famiglia, mediamente di cinque componenti); Acquanera e Guzza di 4 fuochi, Muggiò di 3, Bassone 3.
Tutte erano fatte opportunamente rientrare nei Corpi Santi e pertanto libere da infeudazione.
Possiamo immaginare il sospiro di sollievo delle nostre popolazioni!!
Interesse grande ha suscitato nei frequentanti la festa la grande carta del 1722 (il cosiddetto catasto teresiano) che ha consentito di conoscere visivamente il territorio di allora: nessun altra abitazione se non la corte di Baraggia, che aveva allora una conformazione diversa da quella attuale.
Altre notizie interessanti sono state scoperte ( ad esempio gli antichi microtoponimi del luogo e quelli usati nei più vicini secoli dell’ Otto-Novecento), ma di questi Agorà darà conto in un incontro il 10 ottobre, nella serata di presentazione delle conclusioni del progetto “Carte di identità”.
Quest’anno, dunque, la festa si è arricchita di un nuovo stimolante versante sul fronte della ricerca della propria identità: gli organizzatori hanno aggiunto schede sui lavori agricoli e una piccola rassegna di interessanti strumenti legati al mondo contadino.
Del resto il titolo di tutta la manifestazione invitava proprio a riflettere sul valore non solo “fisico” della corte di Baraggia, ma sulle stimolanti relazioni di collaborazione e di amicizia che i suoi abitanti hanno sempre dimostrato.
Come anche domenica 8 settembre, quando affiatatissimi ed operosi, hanno dato una straordinaria dimostrazione di organizzazione: una squadra intelligente ed efficace per rendere sempre più gradevole il passaggio dei tantissimi visitatori della corte.
f.a.